Il messaggio della
         Famiglia Camilliana
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Anno XIV, nr. 144 – agosto 2010

Il mondo variegato dei sentimenti (Riquadro n. 14 )

Segmenti dal libro di P. Angelo Brusco, Attraversare il guado… ,

 La gestione appropriata delle emozioni e dei sentimenti (due facce della stessa medaglia: le prime più intense e più rapide con riverberi fisiologici, i secondi più tenui ma più duraturi) è condizione indispensabile per sviluppare empatia. Il cammino per crescere in quest’area consta di varie tappe:

1. Definire. I sentimenti sono degli stati d’animo piacevoli o spiacevoli, causati da una valutazione, positiva o negativa, delle persone o delle situazioni compiuta dall’individuo. Da detta valutazione e dal sentimento da essa provocato possono derivare determinati comportamenti (avvicinamento, fuga...).

2. Prendere coscienza. Non sempre è facile diventare consapevoli dei sentimenti. Spesso dei meccanismi di difesa (rimozione, negazione, razionalizzazione...) entrano in azione per rimuovere dalla coscienza stati d’animo che suscitano paura, vergogna... Il processo di socializzazione gioca un ruolo importante in questa tappa.

3. Identificare. Riuscire a ‘dare un nome’ ai sentimenti costituisce già un buon passo nella gestione dei medesimi. L’individuo sa con con quale stato d’animo ha a che fare (invidia, gelosia, tristessa, rabbia..). I sentimenti sono molteplici e possono essere catalogati in vario modo: sentimenti che ci fanno allontanare (paura, terrore...), che ci spingono ad andare verso (gioia, amore, entusiasmo...), che ci fanno vivere la senzazione di vuoto (tristezza, malinconia...), che ci volgono contro (aggressività, rabbia, risentimento, rancore, odio...).

4. Accettare. Per rendersi conto che i sentimenti fanno parte della nostra persona può essere di utilità il riconoscere che essi non sono nè buoni, né cattivi, cioè moralmente sono neutri. La moralità entra in gioco quando si tratta di agirli: che ne faccio del sentimento di invidia, di affetto...?

5. Integrare. L’accettazione dei sentimenti si completa con l’integrazione dei medesimi, che consiste nel far interagire i propri stati d’animo con altre componenti della persona (ragione, valori, fede...).

6. Esprimere. Manifestare i sentimenti, in particolare a chi li ha causati, può avere un effetto liberatorio per l’individuo e contribuire alla crescita della relazione. Di cruciale importanza è la modalità con cui si manifestano i sentimenti. Un modo efficace, e certamente non violento, consiste nel dire alla persona i sentimenti che il suo comportamento ha suscitato in noi (per es.: il modo con cui mi stai parlando mi...).

7. Utilizzare. Possiamo essere vittime dei nostri sentimenti o utilizzarli per la propria crescita. Essi infatti, ci dicono come ci situiamo nei confronti delle persone e delle situazioni., dandoci così l’opportunità di operare dei cambiamenti. Per es.: se non sono bene accolto come operatore pastorale nell’ospedale è facile che avverta sentimenti vari, come rabbia, risentimento. Divento vittima di tali sentimenti se me ne vado dicendo che il mio ruolo non vale niente agli occhi della gente; utilizzo creativamente il sentimento se m’impegno per cambiare la situazione, affermandomi.

8. Aumentare i sentimenti positivi. I sentimenti non sono né buoni né cattivi, ma possono essere positivi (ci dicono che il nostro rapporto con quella persona o situazione è ok) o negativi (ci fanno sapere che qualcosa non funziona nei nostri rapporti con determinate persone e situazioni). Molte sono le iniziative che possono concorrere ad accrescere i sentimenti positivi: contatto con la natura, la ricerca del bello, la meditazione, la lettura, l’ascolto della musica, la meditazione, la preghiera, l’amicizia...

9. Diventare sensibili ai sentimenti altrui. Il contatto con i propri sentimenti rende l’individuo capace di cogliere i sentimenti degli altri e di vibrare ad essi, favorendo l’atteggiemento empatico.

Il permanere dell’identità (Riquadro n. 15 )

Lasciando l'ospedale, quella sera, penso a tutti coloro, uomini e donne, che incontro ogni giorno, feriti nella loro integrità fisica. Penso a Patríck, penso a Marie-France e a tanti altri ancora che hanno tentato di vivere e di esistere, malgrado le mutilazioni. Certi mutamenti li rendono spesso estranei agli occhi di chi, non riconoscendo più i punti di riferimento familiari, preferisce darsi alla fuga. Ricorrono sempre le stesse domande: “Fino a quando dovrà andare avanti così? Mi si può ancora amare?” Penso alla nostra responsabilità, quali testimoni del loro degrado fisico. Con uno sguardo, un gesto, possiamo confermare al paziente il permanere della sua identità, o al contrario comunicargli che non è nient'altro che un essere disgustoso, una specie di relitto di cui ci si vuole liberare. "È lo sguardo dell'altro che conferisce identità", diceva Lacan. Non è mai stato tanto vero come nel caso di chi soffre di un’alterazione della propria immagine. So, per averlo constatato, che si può riuscire à dimenticare il degrado del proprio corpo, essendo se stessi, quando lo sguardo degli altri è ancora carico di tenerezza e non sottolinea la deficienza fisica” (De Hennezel M., Morte amica, BUR, 1998, pp. 85-86).

 

Autostima (Riquadro n. 16)

L’autenticità dipende anche dall’atteggiamento che l’individuo ha verso se stesso. L’autostima esercita un influsso sulla comunicazione e sulle relazioni interpersonali.

L'autostima è l'atteggiamento che ciascuno di noi ha nei confronti di se stesso. Comprende:

- l'aspetto cognitivo, ossia le opinioni che ognuno ha di sé e che riguardano: il suo aspetto fisico, le sue emozioni, la sua vita affettiva e sociale, le sue conoscenze, la sua professione, la sua moralità, il raggiungimento degli obbiettivi prefissati; in altre parole la sua autorealizzazione;

- l'aspetto emotivo, ossia cosa la persona prova nei propri confronti, come ad esempio: affetto, indifferenza, ostilità;

- l'aspetto comportamentale, ovvero come la persona si comporta nei suoi riguardi: se ha rispetto di sé, se soddisfa i suoi bisogni, se sa creare delle condizioni soddisfacenti per se stessa, se cura la sua salute, ecc.

L'autostima sana è quella che si pone al centro di un continuum alle cui estremità sono collocate le due manifestazioni estreme della bassa autostima, cioè la sottovalutazione e la sopravvalutazione di sé, come appare dal seguente schema:

Sottovalutazione di sé----------Autostima--------------Sopravvalutazione di sé

la persona vede la persona vede sia la persona vede solo

solo i suoi pregi i suoi pregi che i suoi difetti i suoi difetti

Questo significa che sia la persona che si sottovaluta sia la persona che si sopravvaluta hanno una bassa autostima, in quanto l’individuo che ha un sano amore per se stesso ammette con serenità sia i suoi pregi che i suoi limiti, cercando di migliorare. La frase chiave di una persona che si stima potrebbe essere: «Amo me stessa per quello che sono, ma posso migliorare».(Strocchi M.C., Autostima, San Paolo, Cinisello B., 2002, pp. 11-12)

Con affetto, Bakó Mária Hajnalka, RO – 530 194 Csíkszereda, Hunyadi János, 45/A/27, Tel/Fax: 0040 366 10 22 55 / 0040 721 088 154 / e-mail: mariabako@hr. astral.ro


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